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L’esperienza carceraria di Pietro Giannone e le Lettres Provinciales di Pascal1
di Marco Montano
1 - Fra i volumi custoditi all’interno della Biblioteca Reale di Torino, sono confluiti, nel corso del tempo, anche diversi scritti provenienti dal carcere della Cittadella e riconducibili, perciò, a personalità che in vita non rientrarono certamente nelle grazie dei blasonati di Casa Savoia. Fu tale la vicenda di Pietro Giannone, il quale, a motivo dei contrasti che la sua Istoria civile del Regno di Napoli2 aveva scatenato con il Sant’Uffizio, già dal 1723 era stato costretto a lasciare la capitale partenopea, senza sapere, verosimilmente, che non vi avrebbe mai più fatto ritorno. In seguito al suo girovagare tra i principali ambienti illuministi italiani ed europei, nel marzo 1736, con un espediente molto ignobile – frutto di precedenti accordi tra Carlo Vincenzo Ferrero marchese d’Ormea, ministro del re di Sardegna, e il diplomatico cardinale romano Alessandro Albani – Giannone sarebbe stato tradito da un amico e arrestato con l’inganno in un villaggio della Savoia, per essere poi rinchiuso in diverse prigioni sabaude dalle quali non sarebbe uscito mai più3. Chambéry (1736), Miolans (1736-1737), Torino (Porta Po 1737-1738) e Ceva (1738-1744), furono le tappe della sua reclusione prima di finire definitivamente, nel settembre 1744, nel mastio della Cittadella4.
In questa sua ultima sede di reclusione, il suo unico conforto sarebbe stato quello di leggere e confrontarsi con diverse opere di vario genere, rispetto alle quali avrebbe riportato diligentemente le proprie annotazioni. Analogamente al suo autore, però, anche i manoscritti carcerari non avrebbero avuto vita facile. Depositati per quasi un secolo, subito dopo la morte di Giannone (1748), negli Archivi del Re di Sardegna, eccettuato un piccolo trasferimento durante la fase napoleonica, sarebbero stati poi trafugati in età Albertina da un archivista infedele intenzionato a venderli, per essere poi salvati e spostati nella Biblioteca Reale di Torino, dove furono finalmente sistemati in diverse raccolte5. A tal proposito, una di queste rilegature è denominata Varia 303 e comprende non solo alcune sue lettere molto utili per ricostruire i rapporti umani che gli avrebbero permesso di consultare determinati volumi, ma anche gli appunti su vari scritti con cui sarebbe venuto a contatto durante la prigionia torinese. Tra queste opere, si trovano pure le Lettres Provinciales6 di Blaise Pascal.



2 - La raccolta Varia 303 si apre con la dicitura «Manoscritto dell’Avvocato Pietro Giannone Napolitano» e nell’angolo superiore è inserita la data del 12 gennaio 1747. Seguono le annotazioni del prigioniero sull’Histoire des Juifs et des peuples voisins7 del Prideaux, i cui appunti occupano le cc. 1-62. Di seguito, la c. 63 presenta le note su le Pensèes8 de La Rochefoucauld, mentre le cc.63-66 comprendono gli appunti su Della potestà e della politica della Chiesa9 del padre Antonio Bianchi, senza alcun tipo di riflessioni critiche, nonostante il fatto che l’opera fosse stata composta proprio contro le posizioni del Giannone. Le carte 67-68 contengono le note sulle Lettere Provinciali10 e le sua Apologia11 mentre le seguenti (69-79) comprendono gli appunti su alcune opere di Cicerone12 sulle Stuore13 di Giovanni Stefano Menochio (cc. 80-89), e, finalmente, alle cc. 90-91 si concludono con particolari Avvertimenti14 Prima di concentrarsi sulle Provinciales (cc. 67-68), è bene soffermarsi su tre carte intermedie, nn. e autografe, poste tra le cc. 55 e 5615 La prima di queste carte centrali si presenta come un biglietto che accompagna la pagina successiva, la quale è costituita da un elenco di libri. Queste due carte testimoniano uno scambio libraio tra Giannone ed il diplomatico inglese a Torino Mr. Arthur de Villettes; il prigioniero ringrazia il destinatario per i libri che aveva potuto ricevere dalla sua biblioteca e, nel restituirli, ne richiede altri provenienti dal medesimo catalogo16
L’ambasciatore presso il Re di Sardegna risponde in francese nella parte inferiore del primo foglio con una scrittura evidentemente differente rispetto a quella del Giannone17 La seconda delle tre carte intermedie tra le cc. 55 e 56, riporta proprio, per mano dello stesso Giannone, l’elenco dei libri che egli stesso poté notare nel catalogo del 1742 della biblioteca dell’inviato inglese18. Nella parte anteriore di questa carta si possono notare, tra le righe composte dal prigioniero, anche le Lettere Provinciali e sua Apologia. Prima di analizzare la terza carta intermedia, cerchiamo di conoscere un po’ meglio questo generoso e disponibile personaggio inglese dal cognome francese. Sappiamo che Mr. de Villettes sarebbe giunto a Torino il 12 agosto 1732 come segretario del conteW. Capel di Essex, ambasciatore inglese, divenendo residente nel 1741 e rimanendo nella capitale sabauda fino al 174919. Notizie più interessanti su Mr. Arthur le ricaviamo attraverso il suo secondogenito William Anne, il quale, nato a Berne il 14 giugno 1754, avrebbe intrapreso la carriera militare fino a ricoprire, non senza aver goduto nel frattempo della stima dell’ammiraglio Nelson in piena campagna antinapoleonica, il grado di generale nell’isola di Giamaica. William morì nel 1808 e in sua memoria sarebbe stato eretto anche un monumento nell’abbazia di Westminster. Può essere interessante sapere che la sua famiglia d’origine emigrò dalla Francia in seguito alla revoca dell’editto di Nantes nel 1685, ragion per cui è del tutto plausibile affermarne il credo protestante ed ammettere, perciò, che fosse stata costretta a rifugiarsi in Inghilterra. Di Arthur de Villettes si sa che dopo l’esperienza nel capoluogo piemontese, sarebbe stato diplomatico britannico nei cantoni svizzeri e che in seguito avrebbe dimorato a Bath, dove morì nel 177620. Per quanto riguarda Giannone, abbiamo già accennato in precedenza che verso la fine del 1744 venne condotto nella Cittadella di Torino, nella quale avrebbe scontato la sua pena fino alla morte, avvenuta nel marzo 1748, e che, sebbene sottoposto ad una sorveglianza rigida ed ottusa, avrebbe avuto comunque la possibilità di incontrare intellettuali e personalità della corte. A tal proposito, un personaggio chiave di questa fase è il marchese Ercole Tommaso Roero di Cortanze (1661-1747)21, uomo ormai anziano ma ancora stimato dal re e dal suo entourage, il quale era stato un militare e diplomatico di alto livello, ambasciatore sabaudo a Vienna (1707-08), a Londra (1719-25) e poi viceré di Sardegna (1727-1731), prima di ricevere l’incarico onorifico di governatore della Cittadella22. Il marchese si sarebbe comportato in modo molto benevolo nei confronti dell’esule partenopeo, offrendosi di mostrargli i cataloghi della Biblioteca Reale e di assecondarne le richieste librarie. Ciononostante, poiché Giannone non avrebbe trovato quella biblioteca particolarmente fornita di autori recenti, sarebbe stato necessario utilizzare una diversa fonte da cui poter attingere i volumi per soddisfare la sua curiosità ed i suoi interessi. Aquesto punto dovrebbe intervenire un altro personaggio ancora, il calvinista ginevrino Jacques Vernet, ammiratore ed amico lontano del Giannone, il quale avrebbe svolto un ruolo determinante anche per la conoscenza e la divulgazione delle sue opere in Svizzera.
L’amicizia e la stima per l’avvocato napoletano si sarebbe mantenuta sia durante la prigionia che dopo la morte, costringendo sia il Vernet che l’allievo Marc Turettini, ad avventurosi, quanto purtroppo infruttuosi, espedienti, per tentare di salvare gli scritti del Giannone dal Sant’Uffizio23.
Non è da escludere, per riprendere il nostro discorso, che sia stato lo stesso Vernet a suggerire al rappresentante inglese Arthur de Villettes, di mettere a disposizione dell’amico prigioniero i cataloghi della propria biblioteca, affinché potesse scegliere i libri che desiderava consultare24.
Tornando alla raccolta Varia 303, la terza ed ultima carta intermedia, posta sempre fra le cc. 55 e 56, è una minuta di lettera molto interessante del 16 ottobre 1747. In essa è contenuta la richiesta esplicita da parte del Giannone delle Lettere Provinciali ed è rivolta al marchese di Cortanze, il quale, evidentemente, oltre a fornirgli i libri dalla Biblioteca Reale, si sarebbe reso disponibile anche a procurargli quelli che il prigioniero segnalava dai cataloghi della biblioteca di Mr. de Villettes25.
Le parole scritte dal prigioniero al marchese sono le seguenti:

16 ottobre 1747
Non potendo di persona, non ho potuto trattenermi, almeno per mezzo di questo foglio, renderle infinite grazie per avermi fatto sollevare il pavimento della mia stanza con tavole di legno; beneficio che io, ora più che mai, per la speranza che ne ho, trovo segnalatissimo, perché, oltre di avermela resa più calda per questo imminente inverno, mi riesce assai più comoda per lo spasseggio; quando, prima, facendolo sopra mattoni mal commessi, inciampava in ogni passo. Sicché, a ragione, devo professarle infinite obbligazioni, da non poterle dal mio animo cancellare in que’ pochi anni di vita che mi restano. La priego, con suo comodo, di procurarmi il libro che leggerà nell’accluso cartellino
[Lettere provinciali e sua Apologia], che io notai nel consaputo catalogo, perché le ore della mattina ho bastante occupazione in travagliar sopra le mie cartucce; ma il dopo pranzo, e molto più la sera, al lume di candela non posso sfuggir la noia ed tedio, che leggendo qualche buon libro26.

La conferma che questo biglietto sia rivolto al Cortanze deriverebbe dalle parole di ringraziamento del Giannone per aver migliorato la sua condizione carceraria. È del tutto credibile pensare, infatti, che il marchese, essendo responsabile della fortezza, ricevesse, oltre alle richieste libraie, sollecitazioni più ordinarie legate alla vita quotidiana del prigioniero. Il Giannone si premura subito di esprimere riconoscenza al destinatario per aver fatto mettere delle tavole di legno a mo’ di pavimento nella sua stanza, con il beneficio, tra l’altro, di avergliela resa più calda.


3 - Le cc. 67-68 della Varia 303 contengono, dunque, gli appunti di Giannone sulle Provinciali. Il prigioniero è stato fin dall’inizio molto preciso ad annotare a latere la vera identità dei due principali personaggi che si nascondevano dietro le Lettere, ovverosia l’autore, Blaise Pascal, celato dallo pseudonimo Louis De Montalte, e Pierre Nicole, l’altro solitaire che sotto il nome fittizio di Guillaume Wendrock aveva curato il commento e la prima traduzione latina nel 1658. Lo scriba recluso, inoltre, ha segnato anche le indicazioni bibliografiche relative all’edizione che ebbe modo di consultare, la quale, appartenuta al de Villettes, era suddivisa in tre tomi e fu edita ad Amsterdam nel 1735 ad opera di J. F. Bernard27. Se le annotazioni del Giannone sulle Lettres Provinciales di Pascal rivelano il carattere preciso e meticoloso del prigioniero, risulta un po’ più difficile capire quale potesse essere realmente l’effetto che le espressioni del pensatore francese avessero suscitato nel suo animo. Per cercare di comprendere questo aspetto, è necessario tornare nuovamente alla biografia del personaggio e, in particolare, all’ultima parte della sua vita trascorsa nella Cittadella di Torino. Una traccia scritta in cui Giannone cita esplicitamente le Lettere Provinciali si trova, infatti, in un’opera elaborata proprio in carcere, alla quale avrebbe lavorato per quasi tutto il periodo della reclusione, l’Apologia de’teologi scolastici (1739-1741 e 1746-1748)28.
Questo testo sarebbe il secondo, in ordine cronologico, delle quattro maggiori scritture composte dal Giannone durante la lunga fase della prigionia29, le quali sarebbero, nell’ordine, i Discorsi sopra gli Annali di Tito Livio30 (1736-1738 e 1746-1748), iniziati a Miolans e ripresi a Torino, l’Istoria del pontificato di S. Gregorio Magno31 (1741-1742) e l’Ape ingegnosa32 (1744) prodotti entrambi a Ceva. In effetti, una prima stesura dell’Apologia sarebbe stata elaborata già tra il 1739 e il 1740, cioè nel momento iniziale della detenzione trascorsa a Ceva. Una conferma, in tal senso, verrebbe da una minuta dell’8 aprile 174033. la quale rappresenterebbe in forma di lettera la prefazione della nuova opera che, almeno in prima mano, poteva dirsi terminata. Questa minuta è rivolta allo stesso destinatario dell’Apologia, l’oratoriano Giovanni Battista Prever (1684-1751), il quale, incaricato dal marchese d’Ormea di condurre in sei mesi il Giannone all’abiura, si sarebbe comportato in maniera molto caritatevole verso l’avvocato partenopeo, forse anche perché ne constatava la docilità. Bisogna comunque tener presente che l’atteggiamento del Giannone in questo stadio iniziale, si fondava su un’esigenza apologetica di consolidare la veridicità della sua abiura, la quale era avvenuta nel carcere di Porta Po nel 1738, poco prima di essere trasferito nella fortezza di Ceva. Questa prima stesura, alla quale appartengono i capitoli I-III del libro I34, è un po’ più prudente ed ortodossa rispetto alla seconda stesura, quella in cui rientrano i capitoli IV-X35, i quali furono composti dopo il 1746 durante il secondo ed ultimo soggiorno torinese, quando il Giannone ebbe modo di consultare anche i libri appartenenti al residente inglese Arthur de Villettes36. Il capitolo XI sempre del I libro e il resto dell’opera, anche se posti alla fine, sarebbero comunque da ricondurre agli anni precedenti perché riprendono questioni in continuità con gli altri lavori redatti in carcere, di cui alcune parti sarebbero confluite poi nell’Apologia. L’ultima sezione di questa sua opera, ad esempio, che riguarda san Gregorio Magno, è la traccia di un capitolo composto per l’Istoria del pontificato di S. Gregorio Magno redatta in carcere nel 1742, che è finita, però, per costituire quasi per intero il settimo libro dell’Apologia de’teologi scolastici, ultimo in ordine narrativo ma non ultimo in ordine di composizione37. È necessario, pertanto, tenere ben presente che l’ultima fatica del Giannone ad essere stata composta in vita, sia stata la parte centrale e più corposa del I Libro dell’Apologia(capitoli IV-X), aggiunta tra il 1746 e il 1747, per la quale i principali autori di consultazione furono soprattutto Hobbes, Cumberland e Barbeyrac, tutti presenti nell’elenco dei libri notati dal prigioniero nel catalogo de Villettes, e in cui si ritrova, per l’appunto, un riferimento esplicito alle Lettres Provinciales.
Sebbene Giannone avesse già citato e apprezzato Pascal per i suoi «alti ed elevati Pensieri» nel II libro dell’Apologia de’ teologi scolastici38 – la cui composizione, forse è bene sottolinearlo ancora, rientra nella prima stesura – di natura ben diversa sarebbe stato il contatto con le Provinciali durante la reclusone torinese. Quest’ultimo confronto con le Lettres, appartenente invece alla seconda stesura e aggiunto dopo aver consultato le opere del de Villettes, è finalizzato a confutare la rigida morale dei Padri della Chiesa. Essa, infatti, per Giannone, avrebbe creato dei modelli comportamentali assolutamente inadatti alla vita civile, fino al punto di andar contro persino ad un istinto naturale del tutto accettabile come quello della sopravvivenza. L’avvocato partenopeo, ad esempio, non poteva accettare ragionevolmente l’assoluto disprezzo che i Padri portavano per la propria vita, fino a negare addirittura ogni possibilità di autodifesa nei confronti dell’aggressore39.
A tal proposito, gli appunti dell’illustre prigioniero sulle Provinciales, riportano non soltanto alcuni dei più celebri episodi legati a Port-Royal, come quello dell’orazione Chapelet secret du S.S. Sacrament40, o della Sacra Spina41, ma la maggior parte di essi riguardano proprio le diverse posizioni dei Padri della Chiesa. Il Giannone, infatti, ha segnato la nota di Nicole relativa alla visione patristica sul ripudio delle mogli42, oppure la proibizione dell’omicidio anche in caso di legittima difesa43.
Il rigorismo giansenista, dunque, in questa fase estrema della vita del Giannone, è interpretato come uno dei tanti frutti scaturiti da un’errata o forzata interpretazione del pensiero di alcuni Padri della Chiesa, come Sant’Agostino. Il brano dell’Apologia de’ teologi scolastici in cui sono confluite le annotazioni carcerarie sulle Provinciales si trova al libro I, capitolo IX:

Dell’austera morale de’ Padri antichi Gli ammiratori della rigida e severa morale degli antichi Padri biasimano e declamano contro i casuisti e teologi scolastici per la rilasciata lor morale, qualificandola per dissoluta e corrotta, fino a porgli in ridicolo e farne brutti emiseri scherni. Ingegnose ed applaudite furon per ciò le Lettere provinciali di Mr. Nicole, pubblicate sotto il nome di Lodovico Montalto44 […] I gesuiti specialmente furon per ciò aspramente malmenati, cha da’ loro confessionali ne uscivan assoluzioni a buon mercato, e che smaltivano merci per ogni sorte di persone, regolandosi secondo il gusto ed inclinazioni e sentimenti de’ loro penitenti. E pure tutti i lenitivi e raddolcimenti di questi non bastano per mitigare l’amarezza delle aspre antiche massime, né arrivare a compensare se non in parte la loro severità e rigore. Tutto ciò è avvenuto perché non ben indagarono i veri princìpi donde deriva la buona morale, onde né gli uni né gli altri seppero tenere la via di mezzo, ma traviando diedero in opposti sentimenti. I primi, non sapendo distinguere nella morale del Vangelo ciocché si inculcava per arrivare ad una somma perfezione, alla quale pochi vi giungono, anzi niuno senza una special grazia che gli venga da fuori, dall’ordinario corso della vita umana, vorrebbero per ragioni astratte e metafisiche disumanar gli uomini e rendergli insensati sassi e duri tronchi, senz’affetti, senza cupidità, senza passioni e senza commozione, seguendo in ciò la dottrina degli stoici. I secondi si appigliarono a quella de ‘peripatetici, li quali lasciano all’uomo tutte le passioni, sovente utili, ma che la vera virtù morale consista in saperle ben dirigere e moderare45.

Appare interessante notare come il Giannone, pur criticando in maniera molto esplicita coloro che «ammirano» e riprendono la «rigida e severa morale dei Padri», cioè i rigoristi, di cui i giansenisti rappresenterebbero la veste cattolica, non sminuisca né tantomeno critichi esplicitamente le «ingegnose» Lettere di Pascal. Egli, però, non si schiera neanche a favore della morale lassista ma presenta gli errori di entrambi, come se intervenisse nella contesa a mo’ di arbitro. Il tutto, ovviamente, per accentuare nuovamente che anche all’origine di quelle terribili dispute ci sarebbe stata la «severità» ed il «rigore» della morale dei Padri. Entrambe le posizioni, infatti, sarebbero giunte a strade diverse, perché nessuna sarebbe riuscita, secondo Giannone, ad interpretare correttamente la «buona morale», arrivando a distanziarsi sempre più da un’equilibrata “via di mezzo”.



4 - Continuando a sfogliare la raccolta Varia 303, la c. 68 v. contiene le note del Giannone su un’opera del tutto particolare, l’Apologie des Lettres Provinciales46 di Dom Matthieu Petit-Didier, la quale fu il contrattacco alla Réponse aux Lettres Provinciales de Louis de Montalte, ou Entretiens de Cléandre et d’Eudoxe47 del gesuita Gabriel Daniel. Il Sainte-Beuve, nella sua celebre storia di Port-Royal, a proposito della replica del gesuita, ci informa che «erano passati circa quarant’anni dalla pubblicazione delle Provinciales, quando padreDaniel decise di fornire una confutazione esaustiva (1694); […] il libro ebbe comunque una certa diffusione; fu ristampato e tradotto in diverse lingue. Ma non servì a granché»48. In effetti, l’esito di questa tardiva Réponse del 1694 sarebbe stato quello di riaccendere notevolmente l’attenzione e il prestigio delle Lettere composte da Pascal circa quarant’anni prima. Ciononostante, «un benedettino allora giansenista, ma che in seguito rinnegò questo suo passato, Dom Matthieu Petit-Didier della congregazione di Saint-Vanne e di Saint-Hydulphe, pensò bene che quella confutazione meritasse una risposta e pubblicò nel 1697 un’Apologie des Lettres Provinciales in diciotto lettere che nessuno lesse»49.
Ben prima che il Sainte-Beuve potesse esprimere questo severo giudizio, tuttavia, nella Cittadella di Torino Giannone si era degnato non solo di leggere questa Apologie, ma anche di segnare qualche appunto personale su quella che sarebbe stata la c.68 v. della raccolta Varia 303.
L’indicazione più rilevante ai fini del nostro discorso proviene certamente dall’annotazione di Giannone sulla Lettera XI: «Nell’XI si rapporta che la traduzione delle Provinciali in lingua italiana fece in Napoli tanto effetto che molti si sollevarono contro i gesuiti donde in Napoli cominciarono a perder il loro credito e anime»50. L’apologista delle Provinciales, infatti, rivolgendosi direttamente contro i gesuiti, trasmette proprio gli effetti che si sarebbero prodotti a Napoli a causa della trasposizione della Réponse del P. Daniel:
Vos confreres n’auront peut-être pas voulu vous chagriner en vous aprenant la mauvaise réussire de vôtre entreprise en bien des endroits: mais ils ne peuvent ignorer que la traduction italienne qu’ils en ont faite a pensé leur être tres funeste à Naples, qu elle n’a servi qu’à reveiller la curiosité pour les Lettres de M. Pascal, qu’à en faire debiter un bon nombre et qu’à causer une espece de soulevement contre vos Peres de cette Ville51.

Il traduttore che – suo malgrado – avrebbe contribuito a favorire ulteriormente la diffusione delle Provinciales nell’ambiente partenopeo, fu Giovanni Battista De Benedictis (1622-1706), lo stesso gesuita che nella seconda metà del Seicento si era impegnato a difendere “l’antica” filosofia scolastica dal “moderno” rinnovamento culturale che aveva iniziato a caratterizzare l’ambiente napoletano già dall’inizio del secolo52. Analogamente alla Francia, infatti, sebbene per motivazioni e con sbocchi diversi, nella Napoli del tardo Seicento sarebbe esplosa una polemica che a seconda delle sensibilità vedeva opporsi “antichi” e “moderni”, cioè pensatori anti-cartesiani e cartesiani, molinisti ed anti-molinisti, probabilisti ed anti-probabilisti, antigiansenisti e giansenisti (o filogiansenisti).
I protagonisti principali di questa “rivoluzione intellettuale” sarebbero stati gli autori giurisdizionalisti del cosiddetto ceto civile, nelle cui fila si annoverano i nomi di illustri personalità quali Leonardo Di Capua (1617-1695), Francesco D’Andrea (1625-1698), Giuseppe Valletta (1636-1717), Niccolò Amenta (1659-1719), e Gaetano Argento (1661-1730), mentore dello stesso Giannone. Benedetto Croce presenta in questo modo il loro impegno culturale:
Tutti costoro tolsero allora gli studi napoletani al vecchiume e all’isolamento in cui giacevano; e per essi penetrarono e circolarono a Napoli i giornali letterari, francesi, germanici, olandesi, che dettero a conoscere il grado che altrove avevano raggiunto le scienze e permisero di tenersi informati dei loro avanzamenti. Per essi, ebbero vita accademie, da quella che si radunava in casa del duca di San Giovanni all’altra degli Investiganti e all’accademia che il penultimo viceré spagnolo, duca diMedinacoeli, raccoglieva nel Palazzo reale. E la scuola del Galileo, […] suscitò in Napoli altri seguaci; e allora, insieme coi nomi nuovi di Cartesio e del Gassendi, del Newton e del Leibniz, si riudirono quelli del Porta, del Campanella e persino, talvolta, del Bruno53.

Uno dei simboli di questo iniziale rinnovamento culturale è dunque l’Accademia degli Investiganti, la quale venne fondata a Napoli, sul modello dell’analoga fiorentina, grazie all’opera di Tommaso Cornelio e Leonardo Di Capua, già scolari a Firenze di Galileo e di Torricelli, i quali ebbero anche il merito di essere «i primi che de’ tanti e si rari e pregiati ritrovamenti nella filosofia, e pubblicati per tutta quasi l’Europa, nella nostra Città portassero le prime notizie»54. L’Accademia degli Investiganti si riunì per la prima volta intorno al 1650 grazie a Tommaso Cornelio, ma sarebbe stata sciolta già nel 1656 a causa della terribile peste, per poi essere riaperta nel 1662 sotto la protezione di Antonio Conclubet, marchese d’Arena55. Gli incontri si tenevano presso l’abitazione dello stesso marchese, il quale, oltre ai titoli nobiliari, aveva soprattutto «fine notizia d’ogni lettere più squisite»56. Gli eruditi membri di questa Accademia, cioè i “novatori” della cultura napoletana, ammiravano e si sforzavano di seguire insieme Bacone, Hobbes, Galilei, Cartesio, Gassendi, Malebranche, Spinoza, Grozio, Cuiacio e altri. Evidentemente, autori e sensibilità diverse, anziché essere interpretati in un riduttivo “eclettismo”, che certamente non renderebbe giustizia ad un movimento che fu, invece, vario ed articolato, andrebbero più opportunamente inquadrati non solo nell’ottica di una profonda continuità con la tradizione napoletana, ma anche in una sensibilità acuta, e talora precoce, per effettive questioni della cultura europea del tempo57. Se quest’ultima, infatti, permetteva che sperimentalismo, probabilismo, sensibilità storica ed interessi scientifico naturalistici si ponessero in dialogo con il razionalismo metafisico, il giusnaturalismo, e, addirittura, con forti e persistenti interessi teologici 58, su un piano più propriamente legato alla tradizione napoletana, furono già «i giureconsulti più avanzati che vissero tra la fine del secolo XVI e la prima metà del Seicento a fornire l’essenza del patrimonio ideale assunto dalle generazioni successive dalle quali deriva poi il Giannone59.
Proseguendo il discorso in maniera più circoscritta alla nostra tematica, è necessario focalizzare l’attenzione ad uno dei molteplici elementi distintivi della cultura giurisdizionalista napoletana, ovverosia un intenso e sempre crescente spirito antigesuitico ed anticasistico. Anche Benedetto Croce spiega come mai «la rivoluzione intellettuale napoletana del Seicento e del Settecento”, non potesse non contenere tra i suoi aspetti più significativi un marcato spirito antigesuitico:

Quei dotti sentirono il bisogno di gettare giù le forme gonfie e vuote del barocchismo letterario; e perciò nella prosa ripresero a modello i toscani o, se usarono il latino, lo ricondussero allemigliori fonti […].Opposizione nella forma letteraria, che formava riscontro a quella del pensiero contro la vecchia scienza delle scuole, contro la filosofia dei chiostri e del Peripato, contro la persistente autorità di Aristotele e, in genere, degli antichi; donde le aspre e lunghe controversie, in medicina tra galenisti e novatori, in filosofia tra scolastici e cartesiani. E poiché i gesuiti rappresentavano allora tutt’insieme la scolastica, il principio d’autorità e il barocchismo letterario, quel moto di cultura fu spiccatamente antigesuitico60.

Un forte ed evidente segnale antigesuita si ebbe il 15 febbraio 1693 nel noto processo contro gli ateisti, allorché molti giovani vissuti nei circoli degli intellettuali venivano additati quali seguaci di Epicuro e Descartes e condannati appunto per ateismo. Il ceto civile riteneva che a danneggiare la fede non erano tanto il cartesianesimo o il gassendismo, quanto piuttosto la chiusura ermetica in un aristotelismo criticato in larga parte dal pensiero moderno nel campo del sapere speculativo ed empirico. Il gesuita De Benedictis, invece, e lo stesso arcivescovo di Napoli, sostenevano che l’atomismo più o meno ispirato a Lucrezio e a Gassendi, nonché il cogito cartesiano, erano stati il mezzo principale per inculcare l’ateismo in tanti giovani legati soprattutto al circolo di uno degli esponenti più illustri del ceto civile: Giuseppe Valletta. Proprio quest’ultimo, insieme a Francesco D’Andrea e Costantino Grimaldi, sarebbe stato tra i bersagli attaccati nel 1696 in un libello anonimo intitolato Turris fortitudinis61 sicuramente ispirato dal De Benedictis. Gli esponenti del ceto intellettuale napoletano scesero in campo con memorabili manoscritti e con opere a stampa frutto del loro più alto pensiero filosofico, religioso e politico.
Tornando alle Provinciales, bisogna evitare di considerarle il tramite dell’anti-gesuitismo che negli anni ’90 del ’600 caratterizzava ormai la cultura napoletana. Il rapporto è, invece, esattamente l’inverso: è l’anti-gesuitismo già maturo ad aver favorito notevolmente la fortuna di Pascal62. Per quanto paradossale possa apparire, a contribuire in maniera decisiva a sviluppare questo spirito e questo successo sarebbero state proprio le azioni intraprese dal gesuita De Benedictis. Questi, infatti, poiché ostinatamente impegnato nelle dispute contro i giurisdizionalisti, ad un anno esatto dalla pubblicazione della prima edizione della risposta di Gabriel Daniel alle Provinciali - uscita nel 1694 con il titolo Entretiens de Cléandre et d’Eudoxe – ne avrebbe prodotto una versione latina63 ed italiana64. Ciononostante, nell’ambiente partenopeo sarebbe avvenuto qualcosa di analogo a ciò che ha tramandato lo stesso Sainte-Beuve a proposito della comparsa degli Entretiens de Clèandre et d’Eudoxe a Parigi: «Si racconta solo che quando venne dato in lettura alla triste corte di re Giacomo a Saint- German, il libro piacque così tanto a certi signori per le citazioni di alcuni passi di Pascal riportati per esteso, che questi mandarono subito a cercare le Lettres Provinciales in originale»65. L’interprete De Benedictis, in quella che può essere definita un’introduzione all’opera intitolata “Il traduttore al lettore”, oltre ad eccessivi quanto poco obiettivi giudizi, fornisce un’indicazione interessante sulla notevole, e dal suo punto di vista pericolosa, diffusione delle Provinciali:

Ho lasciato correre la penna, bramoso di contrapporre, il più tosto che possibile mi fosse, quest’argine al grandissimo corso, che non da gran tempo han preso tra noi quelle Lettere. Ce ne sono in buon numero: si leggono: si lodano: divenute l’ornamento delle Librerie, il condimento de’ diporti, la divisa degli eruditi. E non è già sola l’amenità della loro dicitura, e la dolcezza che seco porta naturalmente la satira nel dir male di pochi adulatrice di molti, quella che ne ha sì fortemente invogliato gli animi di questo nostro Comune. Ci concorre non poco la malignità, e l’astio di certi pochi inverso i gesuiti, per vendicarsi di torti, che son pur benefici: contro à quali, non sapendo far altro, han preso a dar fama, e voga a que’ libelli famosi, facendogli appo noi rinascere quelle stesse cagioni, che gli avean dapprima prodotti. Né piccolo è l’allettamento che si trae dal vederne girar per l’Europa gli esemplari nelle lingue più celebri e più correnti…Il peggio è poi, ch’essendo finora le Provinciali ite infra noi sì per le mani, ma sol di soppiatto, come vergognatesi di mostrare il volto abbronzato da’ divieti, cui erano state fulminate da Roma, oggimai padrone del campo à fronte scoperta passeggiano baldanzose. La ragione, che le affida, è così strana, ch’io non oso ridirla, sicuro di non trovar che me la creda, da che né pur io so crederla a me medesimo. basterà riferire le voci, che vanno per le bocche del volgo, ed abbiansi pure per suggerite alla fama della sola maledizione di Satana, chemanda nuove calunnie in soccorso alle antiche66.

Prescindendo dai giudizi e dalle posizioni dell’autore, ciò che interessa maggiormente è il dato segnalato sulla divulgazione delle Provinciali. Esse, agli occhi di un contemporaneo italiano di fine ’600, non solo sarebbero in «buon numero» e «nelle lingue più celebri e più correnti» d’Europa, ma addirittura «padrone del campo à fronte scoperta passeggiano baldanzose». A confermare ulteriormente, e da ben altra prospettiva, la diffusione sempre crescente delle Lettres Provinciales provocata dalle traduzioni curate dal De Benedictis, abbiamo altresì una lettera del 10 gennaio 1696 che rimanda a due personaggi che avrebbero svolto un ruolo di notevole importanza nel commercio libraio. Essi sono il bibliotecario fiorentino Antonio Magliabechi e l’editore napoletano Antonio Bulifon. Caratteristica dominante degli intellettuali napoletani era la ricerca di nuovi libri provenienti dai Paesi ritenuti all’avanguardia nel progresso scientifico e filosofico. L’arrivo di questi libri portatori di “nuove idee” nell’ambiente partenopeo era possibile in due modi: o tramite i librai locali per mezzo delle navi di Olanda, Inghilterra e Francia, oppure grazie all’intervento dello stesso bibliotecario fiorentino Antonio Magliabechi, il quale «vacò per oltre un quarantennio all’ufficio di trait d’union tra gli studiosi italiani e quelli d’oltralpe»67. In entrambi i casi, risulta comunque centrale il ruolo del libraio Antonio Bulifon, perché sarebbe stato tra i corrispondenti più assidui di Magliabechi dalla città partenopea68. E proprio in uno di questi numerosi scambi, l’editore Bulifon si sarebbe rivolto all’erudito toscano per informarlo degli effetti nati dalla pubblicazione in italiano della Réponse aux Lettres Provinciales fatta dal De Benedictis.
La politica dei gesuiti avrebbe causato nella cultura napoletana una tale curiosità di leggere le Lettres di Pascal che lo stesso Bulifon non sarebbe riuscito a soddisfare adeguatamente:

Illustrissimo Signore e Padrone colendissimo.
[…] Li padri gesuiti, dopo pubblicati la risposta alle Lettere provinciali volgare, hanno pure stampata in latino, e dicono di volerla fare in quattro lingue, sì come sono le proposte. Questo libro ha fatto tale voglia a tutti d’avere le dette Lettere provinciali, che sono venute a notizia da tutti, e non ne potiamo far venire tante copie quanto è il desiderio; ed ognuno disprezza la risposta. Non vi è altra notizia letteraria d’importanza. Il padre Giannatasio lavora alla sua Bellica.
Resto per fine di Vostra Signoria Illustrissima umilissimo, devotissimo ed obbligatissimo servitore
ANTONIO BULIFON
Napoli, à dì 10 gennaro 169669.

Giovanni Battista De Benedictis, per concludere, ossessionato dal successo delle Provinciales che egli stesso aveva contribuito ad incrementare, non avrebbe potuto fare a meno di constatare: «È verissimo che il Giansenismo non è ne’ cuori dei Signori Napoletani, ma è anche vero che è nelle loro mani. Le Lettere Provinciali è uomo che qui non le abbia, o almeno non le legga?»70.


Conclusioni

- L’analisi delle fonti manoscritte, particolarmente delle cc. 67-68 della raccolta Varia 303 che attestano la lettura carceraria delle Provinciali da parte del Giannone per l’ultimazione dell’Apologia de’ teologi scolastici, rimanda alla più ampia questione – certamente meritevole di ulteriori approfondimenti – del rapporto tra Giannone stesso con il giansenismo, e, in particolare, con Pascal e le Provinciali. Per ilmomento possiamo limitarci a sottolineare un precedente, seppur significativo, contatto, che avrebbe spinto il letterato partenopeo a rifarsi al geniale solitaire di Port- Royal, in una prospettiva ben diversa rispetto a quella espressa nel capitolo IX del I Libro dell’Apologia de’ teologi scolastici.
Dopo la condanna dell’Istoria civile del Regno di Napoli e durante la fase iniziale dell’esilio trascorsa a Vienna, l’opera del Giannone sarebbe stata colpita dai violenti attacchi del gesuita Giuseppe Sanfelice. Nel 1728, infatti, videro la luce in Roma, con la falsa indicazione di Colonia, le Riflessioni morali e teologiche sopra l’Istoria civile del regno di Napoli71. La violenza della reazione giannoniana, fu particolarmente evidente in un’opera pubblicata alla macchia nel 1734- 1735 e caratterizzata subito da un’enorme circolazione manoscritta72: la Professione di fede73, «ispirata alle grandi opere dei giansenisti contro i gesuiti e soprattutto alle Provinciali»74. A Vienna, Giannone aveva avuto la possibilità di consultare pregiate biblioteche grazie ad importanti personalità della corte, come il medico bolognese Pio Niccolò Garelli ed il napoletano Alessandro Riccardi. Il Garelli nutriva simpatie verso il giansenismo dettate più da un’adesione politica alla lotta contro l’Unigenitus, che non da un vero e proprio interesse teologico; sarebbe poi divenuto medico dell’imperatore e avrebbe ricoperto il ruolo di uno dei due prefetti della Biblioteca Palatina.
L’altro prefetto era Alessandro Riccardi, il quale, come Garelli, raccolse una grande biblioteca che sarebbe confluita, allo stesso modo di quella dell’arcivescovo di Valenza Folch de Cardona, e prima ancora quella dell’Hohendorf, nella Biblioteca Palatina. Amico e protettore del Giannone, la sua morte gli avrebbe aperto la strada per essere la figura di maggior rilievo del gruppo dei napoletani residenti a Vienna75. La relazione di Giannone con le Lettres Provinciales, motivata dalla preparazione della Professione di fede, sarebbe avvenuta proprio grazie all’accesso alle Biblioteche di Garelli o Riccardi, che avevano testi giansenisti76, o alle altre ricche e prestigiose biblioteche viennesi, come ad esempio quella di Hohendorf o quella del Principe Eugenio di Savoia, nelle quali figuravano anche testi giansenisti e gallicani77.
A supportare comunque il contatto con le Provinciales in una fase antecedente a quella della reclusione sabauda, interviene un’esplicita citazione presente in un altro scritto che Giannone aveva preparato per difendere l’Istoria civile subito dopo la condanna napoletana: l’Apologia dell’Istoria civile del Regno di Napoli. Quest’opera, preparata già a Napoli e poi maturata a Vienna tra il 1723 e il 1729, sarebbe stata stampata, però, soltanto dopo la morte dell’autore, rientrando nelle Opere postume edite a partire dal 175578. A sostegno del suo lavoro, Giannone cita esplicitamente le «Lettere di Ludovico Montalto, ovvero dell’incomparabile Pascal volgarmente dette le Provinciali».
Nel solco della difesa della sua opera, il passo in questione si inserisce in un contesto giurisdizionalista finalizzato a sottolineare le indipendenze dei tribunali statali rispetto a quelli ecclesiastici, prendendo a modello proprio la Francia delle dispute gianseniste:

Non riconoscono le altre nazioni queste Congregazioni, o sia del Sant’Uffizio, o sia dell’Indice, per loro legittimi e competenti tribunali, a’cui decreti proibitori dovessero ubbidire. La Francia è a tutti noto che non riconosce queste due Congregazioni nuove, da Paolo III e Sisto V erette per rendere l’autorità del papa più assoluta, e per reprimere quella de’cardinali; ed Antonio Arnaldo, Difficultés proposte a M. Steyaert, parte 9, diffic. 100, ha ben dimostrato che non men la Francia, che tutti gli altri Stati, che non riconoscono i tribunali dell’Inquisizione e dell’Indice, non sono meno cattolici degli altri. […] Non si tenne conto della bolla di Urbano VIII emanata nel 1643, che comincia In eminenti, per la quale era proscritto il libro di Cornelio Giansenio, vescovo d’Ipres, intitolato: Augustinus. Non de’ tanti decreti proferiti in Roma dalla Congregazione del Sant’Uffizio sotto il 6 settembre 1657, per i quali fra le altre opere furono proibite le Lettere di Lodovico Montalto, ovvero dell’incomparabile Pascale, volgarmente dette le Provinciali79.

Questo riferimento è indicativo non soltanto per documentare che Giannone avesse conosciuto e ammirato le Lettere Provinciali di Pascal e il giansenismo nelle prime fasi della sua vita – quando, cioè, si sarebbero divulgate a Napoli durante la “rivoluzione intellettuale” e nel bel mezzo della polemica giurisdizionalista antigesuitica – ma anche che si sarebbe ispirato proprio alle invettive pascaliane per difendere se stesso e la sua opera da censure ed attacchi affini a quelli subiti dai seguaci di Giansenio.










NOTE
1 Estratto sintetico rielaborato dalla tesi di Laurea Magistrale in Filosofia – «Echi pascaliani nella cultura giurisdizionalista partenopea tra il XVII ed il XVIII secolo» – discussa nell’anno A.A. 2014-2015 presso la Sapienza – Università di Roma (Relatore: Prof.ssa Silvia Berti; Correlatore: Prof. Carlo Borghero).^
2 P. GIANNONE, Dell’istoria civile del Regno di Napoli, 4 Volumi, presso Niccolò Naso, Napoli 1723.^
3 Cfr. Idem, Vita di Pietro Giannone scritta da lui medesimo, per la prima volta integralmente pubblicata con note, appendice ed indice da F. NICOLINI, L. Pierro, Napoli 1905. Composta tra il 1736 e il 1737 nel carcere di Miolans, l’autografo originale è conservato in Archivio di Stato di Torino, Manoscritti Giannone, mazzo III, ins. 2; cfr. Vita di Pietro Giannone scritta da lui medesimo in Illuministi italiani, TOMO I, Opere di Pietro Giannone, a cura di S. BERTELLI - G. RICUPERATI, Milano – Napoli 1971. D’ora in poi solo S. BERTELLI – G. RICUPERATI, Opere di Pietro Giannone.^
4 Cfr. A. MERLOTTI, Prigionieri di Stato e prigionieri «ad correctionem». Reclusi in fortezza nel Piemonte di Carlo Emanuele III, in Carceri, carcerieri, carcerati. Dall’Antico regime all’Ottocento, a cura di L. ANTONIELLI e C. DONATI, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006, pp. 215-234.^
5 Cfr. Idem, Negli archivi del Re. La lettura negata delle opere di Giannone nel Piemonte sabaudo (1748-1848), in «Rivista storica italiana», CVII (1995), f. II, pp. 332-386; G. RICUPERATI, Le carte torinesi di Pietro Giannone in «Memorie dell’Accademia delle Scienze di Torino, classe di scienze morali, storiche e filologiche», s. 4, IV, Torino 1962, pp. 11 ss.^
6 B. PASCAL, Lettres écrites par Louis de Montalte à un Provincial de ses ami set aux RR. PP. Jèsuites sur le sujet de la Morale et de la Politique de ces Pères, chez Pierre del la Valleé, Cologne 1657.^
7 H. PRIDEAUX, Histoire des Juifs et des peuples voisins, depuis la decadence des Royames d’Israel et de Iuda iusqu’à la mort de J. Christ, G. Cavelier père, Paris 1742.^
8 F. DE LA ROCHEFOUCAULD, ziZLes Penseès, maximes, et rèflexions morales, Prault, Paris 1741.^
9 G.A. BIANCHI, Della potestà e della politica della Chiesa trattati due contro le nuove opinioni di Pietro Giannone, nella stamperia di Pallade, presso Niccolò e Marco Paglierini, Roma 1745-1751.^
10 B. PASCAL, Les provinciales, ou lettres ècrites par Louis de Montalte à un provincial de ses amis et aux RR.PP. Jesuites sur la morale e la politique de ces peres, avec de notes de GUILLAUME WENDROCK, 3 Tomes, J. F. Bernard, Amsterdam 1735.^
11 M. PETIT-DIDIER, Apologie des Lettres Provinciales de Louis De Montalte contre la derniere reponse des P.P. Jesuites intitulée: Entretiens de Cleandre et d’Eudoxe, Tome I, Delft 1697; Tome II, Rouen 1698.^
12 Excerpta ex libris philosophicis M. Tullii Ciceronis, con la data nell’angolo superiore della c. 69: «Dies prima martii 1747».^
13 G.S. MENOCHIO, Le stuore, ovvero trattenimenti eruditi del padre G. S. M., Roma 1685.^
14 Avvertimenti mandati di Francia al marchese de las Minas intorno al passaggio delle Alpi intrapreso dal nuovo ispano Annibale e della somma accortezza e cautela che dee in ciò aversi per la diversità delle circostanze che concorrono nella presente situazione delle cose da quella tutta diversa che trovò à suoi tempi il cartaginese Annibale, con la data «12 marzo 1745».^
15 Cfr. S. BERTELLI, Giannoniana: autografi, manoscritti e documenti della fortuna di Pietro Giannone, Ricciardi, Milano - Napoli 1968, pp. 490-491.^
16 Le parole impresse sul primo biglietto intermedio sono: «Si rimandano i libri ultimamente favoritimi e si priega de’ seguenti che notai nel catalogo:
- Morale des Pères de l’Eglise par Barbeyrac.
- Conformité des ceremonies modernes avec les anciennes, avec une lettre éscrite de Roma, par Mr. Middleton, francese.
- La vie de l’Emperereur Julien, vol 1 e 2
».^
17 «Je n’ay point la Conformité des ceremonies modernes avec les anciennes en françois, mais seulement dans la langue originale».^
18 Libri notati nel catalogo del 1742 di Mr. Arturo Villettes, residente di Sua Maestà Britannica alla corte di Torino presso il Re di Sardegna.
(In alto a sinistra:) Tomi del Codice diplomatico d’Italia di Lunig; Corpo diplomatico di Dumont continuato par Rousset vol. 19;
(Al centro:) In Italia: Davila vol. 2; Guicciardini vol. 2; Le leggi civili nel loro ordine naturale par Domat; Muratori Antichità Estensi. Vol. otto; Hobbes: Leviatan; Histoire généalogique della casa di Savoia: Guichenon vol. 2;
Dizionario universale della lingua castigliana vol. 6; Istoria di Mariana in spagnolo vol. 2; Varchi, e Segni Storia fiorentina vol. 2; Burnet: Istoria della reformazione v. 3;

In quarto. Essays de Montagne vol. 3; Morale des Peres de l’Eglise par Barbeyrac; […] Malebranche: Recherche de la Veritè; Amelot, Discours politiques sur Tacite; Lenfant: Istoria dei Concili di Pisa, Costanza e Basilea; Traité Philosophique des loix naturelles par Cumberland traduit par Barbeyrac;
In ottavo: Don Chisciotte Spagnolo. vol. 2.
In 17 e 24: Lettere Provinciali, e sua Apologia; Grotius: De veritate religionis christianae.
(In basso a sinistra:) Conformità de’ riti della C.R. a quei del Paganesimo; Lettera di Roma Middleton (…) in Maynard (editore) Amsterdam 1744 in 12;
(Sul retro della pagina:) La vie de l’empereur Julien. V. 1 e 2; Existence de Dieu, par Mons. De Fenelon; Hobbes, De cive. In Latino; Corpus Politique di Hobbes. En françois.^
19 Cfr. D.B. HORN, British Diplomatic Representatives 1689-1789, Offices of the Society, London 1932, pp. 123-124.^
20 Cfr. Dictionary of National Biography, Vol. LVIII, Smith, Elder,&Co., London 1899, pp. 311-312.^
21 A questo stesso marchese si sarebbe rivolto il Giannone il 16 ottobre 1747 per chiedergli di procurargli le Lettere Provinciali (Cfr. Infra, pp. ss.).^
22 Cfr. A. MERLOTTI, L’enigma delle nobiltà. Stato e ceti dirigenti nel Piemonte del Settecento, Olschki, Firenze 2000;
B.A. RAVIOLA, Ercole Tommaso Roero di Cortanze, patrizio di Asti, militare e diplomatico, in Governare un regno.
Viceré, apparati burocratici e società nella Sardegna del Settecento
, a cura di P.P. MERLIN, Carocci, Roma 2005, pp. 83-104.^
23 Cfr. F. NICOLINI, Gli scritti e la fortuna di Pietro Giannone, Laterza, Bari 1913, pp. 52-57; G. RICUPERATI, Le carte Torinesi, op. cit., pp. 1-27.^
24 Cfr.G. RICUPERATI, Pietro Giannone: Bilancio storiografico e prospettive di ricerca in «Pietro Giannone e il suo tempo – Atti del convegno di studi nel tricentenario della nascita» (Foggia – Ischitella), a cura di R. AJELLO, Napoli 1980, pp. 222 ss.^
25 Cfr. F. NICOLINI, Gli scritti e la fortuna di Pietro Giannone, op. cit., p. 142.^
26 Seguono alcune parole incomprensibili anche secondo S. BERTELLI, Giannoniana…, op. cit., p. 491.^
27 Cfr. P. GIANNONE, L’Ape ingegnosa, ovvero Raccolta di varie osservazioni sopra le opere di natura e dell’arte, a cura di A. MERLOTTI, introduzione di G. RICUPERATI, op. cit., p. XCIX.^
28 P. GIANNONE, Apologia de’teologi scolastici. Dai Manoscritti Giannone, mazzo I, ins. 15 e mazzo V, ins. 2 dell’Archivio di Stato di Torino. Introduzione e cura di G. RICUPERATI, edizione e commento di L. CECCHETTO, Aragno, Torino 2011. D’ora in poi solo P. GIANNONE, Apologia de’ teologi scolastici. Cfr. M. BEGEY, Per un’opera inedita di P. Giannone, in «Memorie dell’Accademia delle scienze di Torino», serie II, tomo LIII, Carlo Clausen (1903), pp. 181-220; F. NICOLINI, Gli scritti e la fortuna di Pietro Giannone, op. cit., p. 57 ss.; G. RICUPERATI, Le carte torinesi…, op. cit., p. 67; Idem, L’esperienza civile e religiosa di Pietro Giannone, Ricciardi, Milano-Napoli, 1970, pp. 564-581. Una considerevole parte del I e del III libro si trova anche in S. BERTELLI - G. RICUPERATI, Opere di Pietro Giannone, op. cit., pp. 790-911.^
29 Cfr. F. NICOLINI, Gli scritti e la fortuna di Pietro Giannone, op. cit., p. 58.^
30 Biblioteca Reale Torino, Varia 305. Discorsi sopra gli annali di Tito Livio scritti da Pietro Giannone Giureconsulto et Avvocato Napolitano, nel castello di Ceva l’anno MDCCXXXIX.^
31 Archivio di Stato di Torino, Manoscritti Giannone, mazzo v ins. I, con il titolo (c. 5) Istoria del pontificato di Gregorio Magno disteso sopra le tre parti del mondo allora conosciuto: tratta delle sue epistole esposte secondo il lor ver senso e ridotte in miglior ordine e disposizione, c. 165 la data finale: 12 settembre 1742. Cfr. Istoria del pontificato di Gregorio Magno: dal ms. Giannone, mazzo V, ins. I dell’Archivio di Stato di Torino.
Introduzione e cura di G. RICUPERATI, edizione e commento di C. PEYRANI, Aragno, Torino 2011.^
32 Cfr. Biblioteca Reale Torino, Varia 304. L’Ape ingegnosa, c. 194, la data di conclusione del lavoro: 26 agosto 1744.^
33 Archivio di Stato di Torino, Manoscritti Giannone, mazzo I, ins. 15, A.^
34 Apologia in Archivio di Stato di Torino, Manoscritti Giannone, mazzo v, ins. 2, cc. 5-25.^
35 Ivi, cc. 26-60.^
36 Cfr. S. BERTELLI - G. RICUPERATI, Opere di Pietro Giannone, op. cit., pp. 791 ss.^
37 Cfr. P. GIANNONE, Apologia de’teologi scolastici…, op. cit., pp. LXXXI ss.^
38 Ivi, p. 346.^
39 Cfr. Ivi, p. XCVIII.^
40 Biblioteca Reale Torino, Varia 303, c. 67 v: «Sopra la nota II della Lettera 16. Narra l’istoria d’una religiosa del monastero di Porto Regale nominata Suor Agnese di S. Paolo. Compose questa monaca una mistica orazione, la quale diede per titolo Chapelet secret du S.S. Sacrament». Cfr. B. PASCAL, Le Provinciali o Lettere scritte da Luigi Montalto ad un provinciale de’ suoi amici colle annotazioni di Guglielmo Wendrok, presso Giuseppe Bettinelli, Venezia 1766, Tomo II, pp. 409-415.^
41 Biblioteca Reale Torino, Varia 303, c. 68 r: «Sopra le Lettera 16a. Nota 3. Rapporta l’istoria d’una fistola a gli occhi d’una monaca di Porto Reale, guarita da un miracolo evidente». Cfr. B. PASCAL, Le Provinciali…, op. cit., pp. 416-422.^
42 Biblioteca Reale Torino, Varia 303, c. 67 r: «La nota di Wendrock afferma che i Padri Antichi dissero che non fu mai permesso a’Giudei di ripudiare le loro mogli». Cfr. B. PASCAL, Le Provinciali…, op. cit., Tomo I, pp. 47-60.^
43 Biblioteca Reale Torino, Varia 303, c. 67 v: «Rapporta più antichi Padri, i quali furono d’opinione, che nemmeno a difesa della propria vita sia lecito d’uccidere il prossimo per salvarla». Cfr. B. PASCAL, Le Provinciali…, op. cit., Tomo II, pp. 305-306: «Ma l’Apologista dei gesuiti […] confessa che molti Padri, ed anche molti Teologi moderni, credettero che non fosse lecito di ammazzare nemmeno per salvare la vita. Egli cita S. Cipriano Lib. I Epist. I, Lattanzio Divin. Instit. Lib. 6 cap. 20, S. Cirillo Lib. II in Joan. Cap. 12, S. Agostino Lib. I De lib. Arb. c. 5, Gerione Tract. De Euchar., Agostino d’Ancona De Potest. Eccles. 9. 52. art. 3. Avrebbe potuto aggiungervi ancora S. Agostino nella sua Lettera a Publicola e nella sua opera Contro Fausto Lib. 22 cap. 77, S.Ambrogio De offic. Lib. 3. Cap. 4, Primasio Epistola ad Roman. cap. 12, S. Basilio Epist. can. 55, i Canoni d’Isaac vescovo di Langres cap. 13, S. Hildeberto vescovo di Le Mans nella sua Lettera ad Ivone di Chartres, e finalmente S. Bernardo De Praecepto dispens. cap. 7».^
44 Evidentemente il Giannone commette un errore di distrazione perché, come dimostrano anche i suoi manoscritti annotò con molta precisione le vere identità di coloro che si celavano dietro gli pseudonimi di Louis da Montalte, l’autore Blaise Pascal, e Guillaume Wendrock, Pierre Nicole, traduttore in latino e curatore di un ampio commento. A ciò si aggiunga che né l’edizione di Amsterdam 1735 che Giannone consultò, né altre edizioni delle Provinciales avrebbero mai potuto presentare un simile equivoco.^
45 P. GIANNONE, Apologia de’teologi scolastici…, op.cit., p. 174.^
46 M. PETIT-DIDIER, Apologie des Lettres Provinciales de Louis De Montalte contre la derniere reponse des P.P. Jesuites intitulée: Entretiens de Cleandre et d’Eudoxe, Tome I, Delft 1697; Tome II, Rouen 1698.^
47 G. DANIEL, Entretiens de Cléandre et d’Eudoxe, sur les lettres au provincial, chez Pierre Marteau, Cologne 1694.^
48 C. A. DE SAINTE-BEUVE, Port Royal, a cura di M. RICHTER, Vol. I, Einaudi, Torino 2011, pp. 846-847. Lo stesso Sainte-Beuve spiega molto bene che la prima edizione, questa a cui si riferisce del 1694, venne soppressa, mentre quella che godette di un discreto successo e diffusione sarebbe stata la seconda del 1696.^
49 Ivi, pp. 847-848.^
50 Biblioteca Reale Torino, Varia 303, c. 68 v.^
51 M. PETIT-DIDIER, Apologie des Lettres Provinciales de Louis De Montalte…, op. cit., Tome II, Rouen 1698, p. 113.^
52 Cfr. P. SPOSATO, Le Lettere Provinciali di Biagio Pascal e la loro diffusione a Napoli durante la rivoluzione intellettuale della seconda metà del secolo XVII, Arti Grafiche Aldo Chicca, Tivoli 1960, pp. 33 ss.^
53 Ivi, p. 146.^
54 Il volubile accademico investigante al lettore, lettera attribuita a GENNARO D’ANDREA, premessa all’opera di L. DI CAPUA, Lezioni intorno alla natura delle mofete di Lionardo Di Capoa accademico investigante, dedicate alla sacra real maestà di Cristina di regina di Svezia mofete, Napoli 1683. Quest’opera fu pubblicata da Cesare Di Capua, figlio di Leonardo, vent’anni dopo che il padre la recitò nell’Accademia degli Investiganti, dedicandola a Cristina di Svezia, meritevole di aver accolto nella reggia di Stoccolma “il maggiore matematico e filosofante” René Descartes.^
55 Cfr. L.MARINI, Pietro Giannone e il giannonismo a Napoli nel Settecento, Laterza, Bari 1950, p. 18.^
56 G. D’ANDREA, Il volubile accademico…, op. cit.^
57 Cfr. G. GALASSO, Napoli spagnola dopo Masaniello. Politica, cultura, società, Volume I, Sansoni, Firenze 1982, pp. 111 ss.^
58 Cfr. Ibidem.^
59 Idem, La Filosofia in soccorso de’ governi. La cultura napoletana del Settecento, Guida, Napoli 1989, p. 185.^
60 B. CROCE, Storia del Regno di Napoli, Laterza, Bari 1972.p. 147.^
61 Turris fortitudinis propugnata a filiis adversus filios tenebrarum, s.l. Una copia manoscritta è custodita presso la Biblioteca di Storia Patria Napoletana, ms. XXIII. D.6, f.146-159. Cfr. P. STELLA, Il giansenismo…, op. cit., p. 170.^
62 Cfr. G. GALASSO, Storia d’Italia. Tomo VI, Il regno di Napoli, UTET, Torino 2011, pp. 1127 ss.^
63 Il titolo completo è: Cleander et Eudoxus, seu de Provincialibus quas vocant, Litteris, dialogi. E gallico exemplari, edito Coloniae Agrippinae typis Petri Marteau 1694, Typis Jacobi Raillard, Puteolis MDCXCV.^
64 Ragionamenti di Cleandro e di Eudosso sovra le lettere al Provinciale recati nell’Italiana favella dall’originale Francese, stampati in Colonia l’anno 1694. Stamperia di Giacomo Raillard, Pozzuoli MDCVCV.^
65 C. A. DE SAINTE-BEUVE, Port-Royal, op. cit., p. 847.^
66 Le pagine introduttive non sono numerate. Cfr. P. SPOSATO, Le Lettere Provinciali di Biagio Pascal…, op.cit, pp. 33-37.^
67 F. NICOLINI, Sulla vita civile, letteraria e religiosa napoletana alla fine del Seicento in Atti della R. Acc. di scienze morali e politiche, Ricciardi, Napoli 1929, p. 189.^
68 Cfr. S.MASTELLONE, Pensiero politico e vita culturale a Napoli nella seconda metà del Seicento, D’Anna, Messina- Firenze 1965, pp. 102-111^
69 A. QUONDAM -M. RAK, Lettere dal Regno ad Antonio Magliabechi, 2 Voll., Guida, Napoli 1978, Vol. I, p. 198.^
70 Lettera del p. De Benedictis a D. Francesco Zurolo in P. SPOSATO, Le Lettere Provinciali di Biagio Pascal…, op.cit., p. 61.^
71 G. SANFELICE, Riflessioni morali e teologiche sopra l’Istoria civile del regno di Napoli. Esposte al pubblico in più lettere familiari di due amici da Eusebio Filopatro, e divise in due tomi, Colonia [Roma] 1728.^
72 Cfr. Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere, ed Arti. Il contributo italiano alla storia del pensiero. Storia e politica, Appendice VIII, Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma 2013, ad vocem Pietro Giannone, a cura di G. IMBRUGLIA, pp. 300 ss.^
73 P. GIANNONE, Professione di fede, scritta da Pietro Giannone al padre Giuseppe Sanfelice, gesuita, dimorante in Roma, per la cui santità, fervoroso zelo e calde esortazioni si è il medesimo convertito a questa credenza che egli inculca nelle “Riflessioni morali e teologiche”, co’ Dubi propostigli nella sua morale, in Idem, Opere postume, Gravier, Napoli 1770, II, pp. 347 ss.^
74 G. RICUPERATI, L’esperienza civile e religiosa…, op. cit., p. 315.^
75 Cfr. Ivi, pp. 233-238.^
76 Cfr. Idem, Mars ohne Venus? Eugenio di Savoia fra libertinaggio e libertinismo, tra maschile e femminile, in «Rivista Storica Italiana», CXXVI, III, 2014, pp. 804 ss: «Giannone portava […] la traccia di un’altra significativa avventura religiosa, che aveva sfiorato il quietismo e non escluso il confronto con i giansenisti quando aveva affrontato la polemica contro l’etica gesuitica, prendendo a modello Pascal nella Professione di fede».^
77 Cfr. V. FEOLA, Prince Eugene and his library. A preliminary analysis, in «Rivista Storica Italiana» CXXVI, III, 2014, pp. 742-787.^
78 P. GIANNONE, Opere Postume in difesa della sua Istoria Civile, All’insegna della Verità, Palmyra (Lucca?) 1755.
79 Idem, Apologia dell’Istoria civile del Regno di Napoli in Opere Postume, Tipografia Elvetica, Capolago nel Canton Ticino 1841, tomo II, p. 118.^
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