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Elezioni in Sicilia ed elezioni prossime
di G. G.
Erano attese le elezioni in Sicilia, come sempre ogni elezione, al di là delle ricorrenti distinzioni tra elezioni amministrative o regionali e, come suol dirsi, elezioni “politiche”. E “al di là”, beninteso, perché è perfino inimmaginabile una consultazione elettorale che, su qualsiasi materia verta, non abbia un suo significato politico, quali che poi, massimi o minimi, ne siano gli effetti; e, tuttavia, nell’opinione pubblica è diffusa, ben più di quanto si immagini, una vera convinzione al riguardo, e nessuno può negare che anche il comportamento elettorale dei cittadini interessati effettivamente sia non di rado diverso a seconda che si tratti di elezioni “politiche” o di elezioni non ritenute tali.
Esemplare e consistentissimo era il caso, a suo tempo, della Democrazia cristiana: nelle elezioni ritenute “non politiche” i partiti suoi rivali, e in particolare i partiti minori, facevano costantemente registrare confortanti e talora esaltanti progressi; quando poi si tornava a elezioni “politiche”, la Democrazia cristiana rifaceva puntualmente il pieno dei suoi voti e gli altri partiti dovevano rifare i loro calcoli sullo stato delle cose e le loro previsioni. Secondo alcuni, questa diversità di comportamento elettorale si sarebbe fortemente attenuata nel tempo, e nell’attuale condizione del sistema politico italiano tra comportamento elettorale “amministrativo” e comportamento elettorale “politico” non vi sarebbe più alcuna differenza, se non irrilevante. Noi non lo crediamo affatto. La differenza sussiste tuttora, e sussiste, comunque, specialmente, in alcune parti del paese, tra le quali sicuramente, per le notorie caratteristiche che ne differenziano il contesto politico-sociale, è la Sicilia.
Perché si è soliti dire, allora, che la Sicilia anticipa gli andamenti politicoelettorali del paese? Perché si ripete così spesso che ciò che accade oggi in Sicilia suole accadere domani in tutto il paese? La Sicilia è forse del paese la parte più avanzata in consapevolezza e in consistenza politica strutturale? Nessuno lo affermerebbe a cuor leggero. L’opinione comune è, anzi, come si sa, proprio quella opposta. Lo si afferma, a nostro avviso, solo per il solito conformismo imperante in queste materie, sulla scorta di casi in cui la pretesa “anticipazione” siciliana ha avuto effettivamente luogo e dei quali si è fatta, senza pensarci su, una regola. Né si creda che questa sia una improvvisata o comoda teorizzazione del fatto. A scorrere gli annali elettorali italiani si ha facilmente modo di vederla confortata dalle loro indicazioni.
Le elezioni siciliane erano, comunque, attese sia dal punto di vista delle vicende interne dell’isola, sia dal punto di vista della congiuntura politica italiana.
Dal primo punto di vista le difficoltà numerose, precedenti e nuove, della sempre vivace vita politica siciliana sono state più che confermate dalle questioni e dalle polemiche sollevate nella fase di formazione delle liste elettorali. E, beninteso, non ci riferiamo qui soltanto o soprattutto al problema dei cosiddetti “impresentabili”: un problema indubbiamente serio e importante, ma troppo facile a prestarsi alle polemiche interessate delle parti contrapposte. Ci riferiamo innanzitutto e soprattutto alla difficoltà di formare liste che non fossero soltanto liste, appunto, di nomi occasionalmente raccolti, ma espressione di gruppi politici di evidente, effettiva, organica composizione e struttura politica. La crisi della forma-partito come premessa e protagonista della politica, secondo il modulo invalso in Italia e fuori d’Italia, è stata anche in questa occasione pienamente confermata, per cui è pure lecito considerarla un dato di fatto di largo valore europeo. Non si è, invece, potuto del tutto accertare e apprezzare il reale rapporto fra le centrali nazionali delle forze politiche concorrenti nell’isola e il procedere di queste ultime nella occasione culminante e, per così dire, risolutiva dell’azione politica che si esprime nella formazione delle liste. Le quali hanno finito con l’apparire, in ultimo, il risultato di un più o meno riuscito compromesso fra centro e periferia, ma senza dare, salvo pochi casi, l’impressione che il compromesso abbia giovato alla qualità delle liste. E, poiché contemporaneamente episodi di gravi difficoltà nei rapporti fra centro e periferia si verificano costantemente in numerose parti d’Italia (si pensi, ad esempio, al caos macroscopico di Napoli nel caso del partito democratico), si dovrebbe valutare anche il peso di un tale elemento sulla scala nazionale al momento delle prossime elezioni al Parlamento. L’indicazione siciliana è, comunque, che la forza degli equilibri o squilibri locali tende a prevalere sugli impulsi o le spinte nazionali. E si rimane, per l’isola, con la domanda se sia, questo, del tutto o prevalentemente un bene, ma lasciando insieme adito al dubbio se gli impulsi o le spinte nazionali siano sempre stati di migliore o superiore qualità. Ossia, detto in più semplici termini, il momento della formazione delle liste elettorali è un buon termometro dello stato e della qualità della salute politica per tutti, al centro e alla periferia; e questa preoccupazione dovrebbe precedere e prevalere su quella della dialettica che contrappone il centro che pretende di “paracadutare” i suoi candidati sulla periferia e le periferie ostinatamente riluttanti ad accettare i paracadutati e decise a sostenere i propri, locali o, anche, non locali, candidati.
Dal secondo punto di vista le elezioni siciliane erano attese come banco di prova sia della tenuta del Partito democratico, che appariva in grave crisi, nonché del significato elettorale delle parti che ne erano uscite e che si erano coalizzate in una lista concorrente alla sua sinistra; sia dell’apparenza di marcia trionfale che si ravvisava nei costanti progressi dei 5 Stelle e della loro ostentata sicurezza circa la Sicilia come tappa di indiscutibile prova della loro imminente conquista della maggioranza assoluta alle prossime elezioni; sia per la possibilità che la destra riunita intorno al redivivo Berlusconi tornasse a costituire nell’isola quella forza politica che negli anni passati aveva avuto in Sicilia successi totalizzanti. Detto in breve anche questo, i risultati hanno detto che la crisi del Partito democratico tanto al suo interno quanto nella sua presa politica, sociale, elettorale è in realtà anche più grave e larga di quanto si poteva ritenere, e, questo, malgrado che il partito avesse scelto come candidato presidente una personalità di indubbio rilievo (e, per non pochi, il migliore dei candidati presentatisi per tale ruolo). A loro volta, i dissidenti e fuorusciti del Partito e i loro alleati di estrema sinistra hanno avuto un risultato elettorale che ha confermato fin troppo la previsione che questi frammenti di partito e di opinione pubblica difficilmente vanno al di là di percentuali irrisorie di voti: in generale, tra il 2 e il 3% dei voti. La Sicilia non è mai stata la terra di elezione della sinistra, e questo indubbiamente conta. Nel caso attuale la sinistra aveva, però, tenuto il governo dell’isola, e il risultato elettorale è anche fatalmente un giudizio su questo periodo di governo: ed è un giudizio negativissimo, visto che insieme i democratici e i gruppi alla loro sinistra non hanno raggiunto neppure il 20% dei voti.
Quanto ai 5 Stelle, essi hanno sbandierato al massimo possibile il fatto che il loro è stato il partito più votato nell’isola; è risultato, come essi non si stancano di ripetere a tutta forza, il primo partito in Sicilia. Il fatto è indubbio, ma la realtà da cui essa risulta non autorizza per nulla i 5 Stelle al loro lirico entusiasmo per un risultato che attesta, invece, fuori delle nebbie dovute alla loro convenienza di mascherarlo e del tutto celarlo, un sostanziale arresto, se non un vero e proprio arretramento, nella loro pretesa trionfale e inarrestabile marcia verso il potere supremo, per il quale hanno pure dichiarato finora di non volere né compagni né soci e di volerlo esercitare tutto da soli, nudi e puri. Il successo è, infatti, tale solo in rapporto alla modestia dei risultati altrui in termini di singole formazioni politiche, non in termini di coalizioni politiche per formare maggioranza. Presi a sé i 5 Stelle hanno visto fortemente decrescere i successi siciliani di qualche anno fa sia come numero assoluto di voti, sia come percentuale. Se vi fosse stato il successo di cui ci si gonfia le gote, non avrebbe vinto la destra e i 5 Stelle avrebbero potuto vantare di essere giunti per la prima volta al governo di una Regione. In realtà, il voto siciliano è stato un insuccesso del partito di Grillo e Casaleggio. In qualche modo lo si finisce anche con l’ammettere, se Di Maio, capo ufficiale del partito, ha finito col dire che i suoi, se, contrariamente a quella che rimane la loro presuntuosa e fin troppo strombazzata certezza, non conquisteranno la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento, si piegheranno al senso del dovere nazionale e cercheranno contatti per alleanze e coalizioni, finora disprezzatissime e totalmente e rigidamente escluse, che assicurino la possibilità di dare una maggioranza e, con essa, un governo al paese. Nessuno può, quindi, escludere che il voto siciliano, invece di suonare da annuncio dell’ulteriore e decisivo e finale successo dei 5 Stelle nella lotta per il governo dell’Italia, suoni da squilla che annunci il limite massimo delle loro fortune politiche ed elettorali.
Resta la destra. Diciamo la verità. Nessuno avrebbe previsto un anno fa un tale successo. In Sicilia non è cosa nuova. In una precedente elezione per la Camera dei Deputati la destra vinse nell’isola in tutti i collegi: 61 su 61, replicando il successo riportato in un altro caso, ossia in Lombardia: 100 collegi su 101. Anche nelle elezioni del 5 novembre scorso, se si fosse votato per la Camera dei Deputati, con gli stessi voti ora conseguiti, la destra sarebbe prevalsa in più dei 4/5 dei collegi. Non entriamo qui nella più che importante questione circa la natura e qualità delle liste presentate dalla destra. Neppure vogliamo avanzare giudizi e ipotesi sul presidente che ha vinto la gara elettorale, del quale preferiamo aspettare l’impostazione e la condotta della sua azione di governo. Ci sembra più interessante specificare che, per quanto si parli di successo della destra, quel successo, anche più ampio e netto di quanto non dicano i numeri, è stato propriamente, in realtà, il successo di Berlusconi.
Non abbiamo alcuna remora ad ammettere di non aver valutato in tutta la sua effettività la possibilità di una resurrezione politica di questo politico fuori del comune. Sbagliammo – ed evidentemente di grosso – nel ritenerlo politicamente finito e (per così dire, e facendo molte corna, da buon napoletano) sepolto in seguito alle sue note disavventure giudiziarie, alle motivazioni di queste disavventure, all’espulsione dal Senato, alla defezione e frammentazione dei suoi “fedeli” a seguito di quelle disavventure e al deciso mutamento del clima politico negli ultimi tre o quattro anni. il fatto stesso che il voto che si è soliti definire (malamente) “populista” sia stato intercettato soprattutto da forze nuove, come, appunto, i 5 Stelle, appariva come una convincente riprova della fine politica di Berlusconi. Che è, invece, risorto, e, anche se non vincerà nella procedura giudiziaria da lui intrapresa a Strasburgo per essere reintegrato nella pubblica considerazione, con le relative conseguenze pratiche, è chiaramente destinato a restare il capo morale e di fatto della destra, benché la competazione che tentano con lui i Salvini, Meloni e altri suoi collegati e alleati sia ben comprensibile, in quanto e senza la loro vicinanza e alleanza Berlusconi non potrebbe mantenere e allargare lo spazio che gli si è aperto in Sicilia.
Perché, tuttavia, ha vinto in Sicilia? Ci sono, innanzitutto, e indubbiamente le particolarità siciliane, che Berlusconi non affrontava per la prima volta. C’era la crisi della sinistra, e in particolare dei democratici. C’era la non prevista battuta d’arresto dei 5 Stelle. C’erano le attuali difficoltà di governo politico, economico e sociale del paese, che il governo Gentiloni sta meritoriamente affrontando per come può, e, tutto sommato, non male. Ma c’era anche qualcosa che non riguarda solo la Sicilia e che sarebbe opportuno ricordare sempre e non dimenticare. E, cioè, la tradizionale prevalenza in Italia dell’opinione moderata, che, con molte interruzioni, con ripetute volubilità, con continue ricorrenze di orientamenti di segno opposto, tuttavia, a certe svolte, in certi momenti critici, in occasioni che sembrano ultimative, si fa puntualmente rivalere, e trova sempre interpreti e uomini ad essa confacenti.
Siamo oggi ad una di queste svolte o occasioni? È quello che si vedrà nei prossimi mesi, durante i quali si chiarirà se la sostanziale battuta d’arresto dei 5 Stelle sia o non sia stata l’inizio di un loro blocco sulle posizioni raggiunte o di un loro declino; se per la destra la Sicilia sia stata o non sia stata la piattaforma di una sua nuova clamorosa affermazione a livello nazionale; se la sinistra ha ancora tanti e tali margini di recupero da poter competere efficacemente con i suoi avversari quale grande forza nazionale in un ruolo protagonistico come quello degli ultimi anni.
Ecco, dunque, perché le elezioni siciliane, lungi dal chiudere la partita anche a livello nazionale, come presumevano i 5 Stelle, ne ha, invece, aperto un’altra, in cui tutto è ancora da vedere e chiarire. Una partita nuova di cui sarebbe opportuno che si percepisse subito non solo da parte dei “politici”, sempre chiamati in causa e messi (più o meno tutti) alla berlina, ma anche, e ancora prima e ancora di più, da parte dell’intera classe dirigente in tutte le sue articolazioni e particolarità, intellettuali, professionistiche, tecniche, economiche e così via. Solo così, se è vero – come è vero – che l’Italia sta ormai uscendo o è già uscita dalla lunga crisi economica di questi ultimi anni, la vita di un paese rifiorente potrà giovarsi di quella pienezza e valenza di svolgimenti e di maturazioni che solo la politica, quando è grande e buona politica, può dare.
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